Giovanni De Carolis ha ancora fame

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Giovanni De Carolis, ad oggi l’ultimo italiano ad aver conquistato il titolo di Campione del Mondo si racconta, tra i trionfi del passato agli obiettivi per il futuro

di Giuseppe Albi

È il 9 gennaio del 2016. È pieno inverno e le temperature non sono delle più gentili. In Germania, più precisamente a Offenburg, in quei giorni i termometri non sembrano volerne sapere di salire oltre lo zero. In un punto preciso della città però c’è un luogo dove il clima è bollente. Si tratta della Baden Arena, uno dei teatri pugilistici fra i più caldi d’Europa. Un microcosmo sospeso fra sogno e realtà dal quale abbiamo deciso di far partire il nostro racconto. Un crescendo di emozioni che hanno come data proprio il 9 gennaio del 2016, il giorno in cui Giovanni De Carolis è diventato campione del mondo.

Quella notte rappresenta per me qualcosa di indimenticabile. La cosa che paradossalmente ricordo di più è il momento dell’ingresso nell’arena. Abbracciai il mio maestro ed entrammo così fino al ring. Nella mia mente, in quegli istanti, c’era l’assoluta convinzione che quella sarebbe stata la mia notte. In quel momento nell’universo tutto sembrava essere allineato per dare vita ai miei sogni. Sentivo nel cuore, nelle mani e nella testa che era la mia notte. Una volta salito sul ring non provavo nessun tipo di timore nell’affrontare il campione tedesco Vincent Feigenbutz. Anche una volta iniziato il match ho subito imposto il mio ritmo, tant’è che c’è stato anche un atterramento. All’angolo il mio maestro mi chiedeva di aumentare ancora di più la pressione perché pensavamo che dall’altra parte avessero un piano B. E invece non avevano nessun piano alternativo, o se lo avevano lo abbiamo fatto saltare perché quando ho cominciato ad accelerare non c’è stato nulla da fare per il mio avversario.

La conquista di un titolo mondiale rappresenta il punto più alto della carriera di un atleta. Ma prima di arrivare sulla vetta del mondo però il percorso di Giovanni De Carolis è stato contraddistinto da numerose tappe, tutte caratterizzate da una costante ben precisa: la passione per il pugilato.

Ho iniziato a praticare questo sport quasi per caso. Da ragazzino entrai in palestra per irrobustirmi un po’. Ero in sala pesi quando vidi nello spazio a fianco che stavano facendo pugilato e me ne innamorai subito. Da lì in poi è sempre stato un crescendo. Ho fatto una carriera da dilettante molto breve. Ho cominciato a combattere seriamente quando avevo diciotto anni perché mia mamma non voleva che facessi questo sport. Una volta maggiorenne ho avuto così l’opportunità di decidere da solo (ndr. ride) e dopo un po’ di match da dilettante sono passato professionista. Avevo 23 anni…

Quando si racconta la propria carriera sono in molti a soffermarsi sui successi. I veri campioni però si riconoscono perché nei loro racconti sono soliti parlare soprattutto delle sconfitte. Anche Giovanni De Carolis appartiene a questa categoria.

Dopo sei vittorie di fila incappai nel primo stop. Fu a Kiev contro il pugile ucraino Maksym Bursak. Era il numero uno nel suo Paese e divenne in seguito anche campione d’Europa. Mi diede una vera lezione di pugilato. Persi per TKO e questo evento mi fece capire quanto avevo da lavorare per poter competere in campo internazionale. Mi mancava qualcosa anche a livello caratteriale. Non avevo capito ancora tutto il mio potenziale. Devo dire però che le esperienze di combattimento all’estero mi hanno aiutato in questo processo. Ho combattuto per esempio in Danimarca e in Germania. Ogni volta tornavo a casa con più sicurezza anche se i risultati non erano sempre positivi.

Dedizione, intelligenza e voglia di arrivare. Dopo una prima fase di adattamento la stella di Giovanni De Carolis comincia a brillare sempre più intensamente fino ad illuminare il firmamento del panorama pugilistico italiano.

Nel 2012 decisi di cambiare categoria di peso. Facevo infatti troppa fatica a rientrare nei medi. Ero costretto ad una dieta molto rigida e sentivo che non avevo la sostanza giusta. Passai così ai super medi. Da quel momento cominciai ad inanellare una serie di vittorie molto importanti che mi lanciarono in campo internazionale. Persi un solo match nei successivi due anni contro un campione assoluto come Arthur Abraham. Lui era un pugile spaventoso. Metteva paura a tutti ed aveva raccolto fino a quel momento tantissimi ko. Persi quel match, ma lo feci a testa alta e per verdetto dei giudici. Fu una sconfitta che comunque rilanciò il mio nome in campo internazionale. Nel 2014 così avvenne la definitiva consacrazione. Feci due titoli internazionali vincendo in entrambe le occasioni contro Gerard Ajetovic e Mouhamed Ali Ndiaye. Con quest’ultimo fu un incontro durissimo. Molti mi davano per sfavorito, ma riuscii a vincere per decisione unanime e questo mi spalancò la prima occasione mondiale contro Vincent Feigenbutz che si disputò in Germania il 17 ottobre del 2015. Fu un match con un verdetto molto contestato, non solo dagli italiani, ma anche dagli stessi tedeschi. Alla vigilia in molti mi davano come una vittima sacrificale data in pasto a Feigenbutz. Dimostrai che le cose potevano andare diversamente e riuscii a metterlo al tappeto al primo round e quasi fuori combattimento nel quarto. Alla fine dell’incontro però i cartellini premiarono il tedesco fra l’incredulità di tutti. Fu talmente clamoroso il verdetto che mi diedero la rivincita dopo soli due mesi e la seconda volta che ci siamo incrociati sul ring è andata come sapete.

Essere un pugile professionista non sempre garantisce la possibilità di concentrarsi solo ed esclusivamente sul proprio sport. In Italia per esempio molti pugili sono costretti a svolgere altri lavori.

È vero, è così. Quando ho iniziato a fare il pugile professionista mi dividevo fra gli allenamenti e il lavoro. Per molti anni ho lavorato nei ristoranti come cameriere, ma gli orari non erano il massimo per la vita di un atleta. Successivamente ho lavorato in un negozio che vendeva materiali edili e facevo dalle 7 del mattino alle 16. Questo mi permetteva di allenarmi il pomeriggio e non fare tardi la sera. Un compromesso che ho dovuto accettare nonostante lo stipendio fosse più basso. Successivamente presi un attestato presso la Federazione Pugilistica Italiana e questo mi permise di lavorare nelle palestre. Ho passato un anno a girare come una trottola per tutta Roma e a fare corsi in diverse strutture. Sentivo però che quella era la mia strada e così decisi di aprire la mia di palestra in un paese vicino Roma. Era una piccola realtà con dentro solo un ring, i sacchi e qualche attrezzo per i pesi, ma era la mia realtà e comunque le cose andarono bene. Finalmente potevo fare il pugile e l’insegnante. Le giornate erano comunque impegnative, tornavo a casa distrutto, ma sempre con il sorriso sulle labbra perché facevo una cosa che mi piaceva.

Passione e spirito di sacrificio. Due elementi che tornano sempre nella vita di De Carolis. La sua storia pugilistica però non è ancora finita. Dopo la vittoria del mondiale, Giovanni perse il titolo il 5 novembre 2016 contro Tyron Zeuge. Da quella sconfitta è ripartito, come ha sempre fatto nella sua vita. Nel 2018 ha conquistato così il titolo italiano dei super medi battendo Roberto Cocco. Nello stesso anno ha aggiunto al suo palmarès anche il titolo WBC International battendo Dragan Lepei. Fine del racconto? Titoli di coda? Niente di tutto questo. D’altronde quando si è dei vincenti e dei sognatori si trova sempre qualcosa di nuovo a cui ambire.

Il mio obiettivo adesso resta l’Europeo. Ho vinto il mondiale, il titolo italiano, manca solo la cintura di campione d’Europa. Sarebbe il coronamento della mia carriera. E poi vincere il titolo europeo mi potrebbe aprire nuovamente le porte per un’occasione mondiale. Però voglio pensare a un match alla volta. Come dico sempre a tanti ragazzi che alleno, io combatto perché mi piace. Amo la sfida, a prescindere dal valore dell’avversario. È una mia filosofia di vita e fin quando avrò la voglia e le potenzialità per poterlo fare, e finché soprattutto ci sarà questa fiamma accesa nel petto, cercherò sempre di combattere.