Georges Lamia, il primo disastro europeo

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Leggi la storia degli Europei di calcio raccontata da Ricky Buscaglia. Si comincia dalla prima edizione, Francia1960, e dalle disavventure di un portiere. Come entrare nella storia dalla porta sbagliata. E farlo nella gara inaugurale del Campionato d’Europa.


di Ricky Buscaglia

Un minuto prima George Lamia è nel bel mezzo di uno sogno. Il campionato vinto con il Nizza gli ha spalancato le porte della Nazionale, e alle 21.07 del 9 luglio 1960 è in campo a Parigi. Sta parando nella prima, storica partita della fase finale dell’Europeo: Francia-Jugoslavia. È felice, molto felice. Il risultato è 3-1 per i padroni di casa, e i 24mila sugli spalti sono convinti che la semifinale di questa nuova, curiosa manifestazione la vinceranno i Bleus. Ma il vento può cambiare in fretta. E può stravolgere serata e carriera.

 

SOTTO LA PANCIA

L’ingresso in campo di Francia ed Jugoslavia – da:dailymail.co.uk Tac. La lancetta è scattata, 21.08. In campo è il 53esimo. Lo slavo Zanetic sgomma sulla fascia sinistra depistando il terzino Marcel, ma arriva sul fondo troppo velocemente e con scarso equilibrio. Calcia con il mancino come può: nella sua mente è un passaggio in mezzo, nella realtà si traduce in un tiraccio debole a filo d’erba direzione porta, innocuo se solo Lamia non si fosse abbondantemente spostato verso il limite dell’area piccola per intercettare un cross che non arriverà mai. Goffo tentativo di rimediare: tuffo disperato, palla sotto la pancia e 3-2. Mezza difesa francese sgrida… il difensore Marcel, che raccoglie epiteti un po’ stupito. È chiaro che sia il capro espiatorio per provare ad alleviare la coscienza di Lamia, esibitosi nella versione passeggiata libera al parco.

GOL DEL FOTOGRAFO

L’episodio sembra comunque gestibile, perché una decina di minuti dopo la Francia allunga di nuovo con la prima polemica rovente della storia dell’Europeo. Heutte viene servito in profondità alle spalle della difesa jugoslava. Parecchio alle spalle. È fuorigioco chilometrico, al punto che lo stesso Heutte si ferma davanti al portiere Soskic. Solo che nessuno ha fischiato, soprattutto non ha fischiato l’arbitro, il belga Gaston Grandain, un omone palesemente fuori forma che si sarebbe ritirato qualche mese più tardi all’età di 50 anni (!) e che valuta assieme al suo assistente l’azione regolare. Ad accorgersi dell’occasione è un fotografo a pochi passi dalla porta di Soskic, che si mette a urlare: “Tira Heutte! L’azione è buona, tira!”. Heutte esegue, deposita il 4-2 e ringrazia il fotografo. Tutta la Jugoslavia circonda Grandain, che però si dirige verso centrocampo.

ORMAI È IN GHIACCIO

Sembra fatta. Sembra. Perché Lamia si è già incamminato verso l’inferno, e sta per trascinare con sé tutta una nazione, con una rapidità che a confronto la rimonta del Liverpool sul Milan a Istanbul nella finale di Champions del 2005, da 3-0 a 3-3, è roba da principianti.

Minuto 75, attacca la Jugoslavia. Zanetic si allarga a destra e disegna un traversone profondo per l’arrivo sul secondo palo di Knez. Non è un pallone comodo: troppo basso per il colpo di testa, troppo alto per un controbalzo. Knez fa quel che può: appoggia al volo di piatto e riesce a indirizzare verso la porta, ma è qualcosa di molto vicino al concetto di passaggio per il portiere. Lamia è ben piazzato, solo che la sua mano destra diventa improvvisamente di burro, il polso si piega sotto il peso della paura di sbagliare ancora e il palmo rifila uno schiaffetto alla palla nemmeno fossero le chiappe di un neonato. Knez non ci crede, nessuno ci crede: 4-3. Lamia cerca qualcuno con cui prendersela, con cui condividere la responsabilità, il suo bruciore allo stomaco. Non c’è nessuno: è tutta colpa sua. Ansia, angoscia. Che ora diventano contagiose.

MA COME?

Minuto 76. La Francia rimette in gioco il pallone, ma la Jugoslavia lo recupera subito. Una serie fitta di passaggi crea l’occasione per Jusufi di spedire in area un altro pallone alto: Lamia esce e blocca in presa. Ma la serenità lo ha abbandonato da un pezzo. E infatti rinvia con le mani e va corto, cortissimo, come se il suo gomito fosse legato da un invisibile elastico al palo, restituendo a uno stupito Jusufi, che non crede di ritrovarsi di nuovo il pallone a disposizione. Stavolta Jusufi serve in profondità Kostic e l’attaccante della Stella Rossa, che di lì a un anno avrebbe pure vestito la maglia del Lanerossi Vicenza, crossa a mezza altezza dritto sul petto di Lamia che è al punto giusto nel momento giusto. Solo che Lamia è eroso dal panico, consegnato agli eventi. Non la tiene, non la respinge, viene centrato passivamente diventando sponda perfetta per la coscia di Jerkovic, che senza fare niente, ma proprio niente, tocca di rimbalzo per il 4-4. I tacchetti dei Bleus non avvertono più l’erba di Parigi, ma le sabbie mobili.

DA 4-2 A 4-5

Minuto 78. La Francia è di nuovo a centrocampo per riprendere il gioco, e di nuovo perde subito il pallone. Con una facilità disarmante Jusufi si appropria della corsia di sinistra, centra per Galic che ha il primo marcatore francese a tre metri e la porta a non più di cinque. Calcia rasoterra verso quel che resta di Lamia, che si accartoccia in ritardo e respinge dove nessun portiere al mondo dovrebbe mai: centralmente. La difesa francese resta contemplativa e Jerkovic, a porta vuota, realizza la sua doppietta: 4-5. In quattro minuti scarsi. Sarà il risultato finale. Ancora oggi resta la partita con l maggior numero di gol realizzati in una fase finale dell’Europeo.


Il giorno dopo il titolo più tenero dei quotidiani francesi è “Lamia assassine l’equipe de France”, Lamia uccide la nazionale francese. Avrebbe difeso i pali dei Bleus soltanto un’altra volta nella sua vita, due anni abbondanti dopo, contro la Germania Ovest in amichevole. Sul finire della sua carriera avrebbe vinto una coppa di Francia con il Rennes. Non abbastanza per dimenticare quella sera, la sera del 6 luglio 1960, della prima partita di una fase finale dell’Europeo, conclusa con 5 gol sul groppone di cui 4 da responsabile pressoché unico.