Raffaella Manieri, benvenuti nel futuro del calcio femminile

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di Gianluca Prudenti

Raffaella Manieri in carriera ha vinto praticamente tutto con le maglie di Bardolino, Torres, Bayern Monaco: cinque scudetti, due Frauen-Bundesliga, una coppa italia e sei Supercoppe Italiane. Un palmares di tutto rispetto arricchito da 65 presenze e 10 gol nella Nazionale italiana. Ora si dedica alle future calciatrici, per mettere al loro servizio la sua esperienza e limare sempre di più le differenze di genere e i pregiudizi che accompagnano il calcio femminile, uno sport in rapidissima ascesa

Raffaella come hai cominciato?

Da quello che dice mia mamma ho conciato a giocare con il primo pallone a due anni e non ho mai più smesso. Diciamo che ho avuto un imprinting fin da piccola, volevo sempre giocare: avevo l’istinto di calciare ogni cosa che rotolava. Sono stata molto fortunata perchè ho cominciato con i bambini all’età di 5 anni e da li in poi non ho mai smesso.

Raffaella ManieriGiocare a calcio in Italia per una bambina non è ancora così scontato…

La fortuna vuole che mio padre fosse il presidente dell’UP Arzilla, in provincia di  Pesaro, quindi l’appoggio e l’apertura mentale per essere inserita in un contesto maschile non sono mai mancate. Ho potuto compiere il mio percorso insieme ai ragazzi senza avere problemi e senza sentire troppe differenze.

 

Non è normale che in Italia una ragazza che vuole giocare a pallone incontri tutte queste difficoltà…

Non è normale no, ma ci sono differenze culturali importanti. In altri paesi e continenti è più facile poter cominciare un percorso senza avere resistenze e pregiudizi. In America fare la calciatrice è normale, li gli sport maschili sono considerati il Football americano, il baseball o l’Hokey. É una questione socio culturale, non si possono fare paragoni perche la loro storia è diversa. Arriveremo a che noi al professionismo, ci siamo già vicini. In Italia sono sempre mancati i progetti, invece ora ci sono idee importanti. Siamo sempre state dilettanti, con una risonanza mediatica nazionale diversa. Basta pensare ad esempio al Tavagnacco, che se si chiamasse Udinese avrebbe un seguito diverso, oppure, per quanto riguarda Torino, al Luserna che oggi potrebbe essere la Juventus o il Toro femminile.

Qual’è il nostro problema?

Siamo in ritardo. A me sarebbe piaciuto tantissimo vivere dentro un contesto di professionismo, ora invece il futuro delle bimbe che sognano di giocare è più roseo. Ma non è facile. I genitori spesso hanno paura di fare avvicinare le loro figlie a uno sport virile che possa mascolinizzarle. Invece è solo uno sport, poi è naturale che il cambiamento del corpo ci debba essere per una atleta professionista, ma qui da noi l’ideale di donna è quello di velina o modella, non di calciatrice. Bisogna capire da dove arriva questo modello e provare a cambiarlo, la nostra culturà è permeata di religione e in quel contesto la donna viene vista come madre, casalinga. Nella società la donna è sempre vittima, anche nella comunicazione e nel linguaggio, e questa cosa andrebbe sradicata con l’esempio di esperienze importanti che possano far cambiare questa idea. Oggi le donne sono più indipendenti e libere, tante donne primeggiano in tanti campi e sono in prima linea. E poi anche il concetto di violenza: i maltrattamenti sono quasi triplicati durante il lockdown: l’uomo che commette violenza ha sempre una scusante, è instabile o con dei problemi. La donna non può sempre essere vittima, bisogna cambiare questo modo di fare e di pensare.

Tu nel tuo piccolo provi ad aiutare le bambine ad affacciarsi al mondo del calcio…

Si Grazie all’Accademia alla RaffaManieri Academy. É un percorso in crescendo, nato quando giocavo a Monaco con le prime videochiamate perchè alcune bambine erano interessate a giocare e volevo aiutarle condividendo la mia esperienza. Ad un certo punto, insieme a mio padre e a Francesco Marcucci, abbiamo cercato di creare un format, che si chiama Pink Arzilla, per cambiare la visione del calcio come sport prettamente maschile e per capire come includere le ragazze facendole giocare con i ragazzi con rose miste. Da questa esperienza abbiamo deciso di evolverci e creare l’Academy.  L’idea è di fornire una consulenza per andare a smussare tutte le resistenze anche attraverso specialisti, come lo psicologo Semmi Marcantognini. Organizziamo incontri con genitori, formiamo allenatori, e facciamo open day. Per ora è solo un’Academy, poi vedremo se cresceremo tanto da creare una squadra. Proviamo ad eliminare alla base tutte le difficoltà che ho avuto io attraverso l’inclusione delle bambine.

raffaella Manieri

E i risultati arrivano?

Si i risultati sono incredibili! Dall’età di quattro anni facciamo giocare insieme bambine e bambini, fino ai giovanissimi. Pensa che ci sono molte ragazze che sono capitane della loro squadra mista, scelte dai bambini stessi. Non facciamo selezione. Chiaro che tra i professionisti, dove c’è selezione, è importante capire quando e dove insierire le ragazze a seconda del livello. Questo è utilissimo per le bambine che non hanno a disposizione squadre femminili in zona e che vogliono cominciare a giocare. Il nostro obiettivo è quello di aumentare il numero delle tesserate e ridurre il gap nei confornti delle giovani calciatrici pari età che invece hanno la possibilità di giocare in squadre professionistiche, come comincia a succedere in Italia e da anni avviene all’estero.

Tu quando hai capito che per te il calcio poteva essere una cosa seria?

Alla prima convocazione in Nazionale! A 14 anni sono stata convocata per una selezione giovanile azzurra. La maglia della Nazionale è un sogno per tutti, li ho capito che potevo fare un percorso di un certo tipo. Insieme alla mia famiglia abbiamo deciso che sarei rimasta a casa fino alla fine degli studi, mi sono diplomata in agraria, poi avrei potuto intraprendere la mia strada…

E la tua strada ti ha portato a vestire le maglie delle squadre italiane più importanti in quel momento…

Si ho cominciato con la Vigor Senigallia e poi sono andata al Torino. Poi è arrivata la chiamata del Bardolino: è stata una grande emozione perchè ho vinto primo scudetto e siamo arrivate in semifinale di Champions League (miglior risultato per una squadra italiana). Dal Bardolino sono passata alla Torres. In Sardegna sono rinata dal punto di vista professionale e non solo: sono arrivata un po’ acciaccata e il fisioterapista Marco Angius mi ha aiutato moltissimo permettendomi di tornare ad alti livelli. Anche grazie all’allenatore Ettore Arca ho riguadagnato la Nazionale maggiore. Eravamo una corazzata, abbiamo vinto 4 scudetti di fila, ma la società ad un certo punto non ha più avuto la forza di investire per farci fare meglio in Europa.

Raffaella Manieri

E allora sei andata al Bayern Monaco…

Si, alla Torres era finito un ciclo. In realtà mi aveva cercato anche il Lione in precedenza. Poi quell’estate ho giocato gli Europei in Svezia e sono stata visionata dal Bayern Monaco. Stavo per firmare col Brescia, mi sono scusata con Il presidente Giuseppe Cesari che si è dimostrata una gran persona e ho accettato questa grande opportunità. Ho firmato per sei mesi e non ho mai visto il campo, se non con la seconda squadra, c’era una differenza fisica pazzesca. Ho avuto difficolta con la lingua e con l’ambiente ma la voglia mi ha dato la forza di non mollare e avere pazienza. Poi a un certo punto tra infortuni e squalifiche l’allenatore ha deciso di puntare su di me e io, che sono terzino, ho debuttato da difensore centrale contro il Wolfsburg, in una delle partite più importanti della stagione. Siamo andate subito sotto ma poi abbiamo vinto 3-1.

Ti ricordi il minuto prima di scendere in campo?

Avevo una carica che non puoi capire: sei mesi di lavoro, di sacrifici, lotte e pianti. La settimana prima avevo studiato da sola i video delle avversarie e sapevo a memoria cosa facevano le loro attaccanti. Nel calcio il minuto prima parte da quando usciamo dagli spogliatoi. Ricordo che una mia compagna mi ha chiesto se avessi paura… Me la sarei mangiata, ho dato la carica a tutte le altre. Poi ricordo, appena prima del calcio d’inizio, la riunione in cerchio per caricarci, mi sono sentita ancora piu forte perche ho capito che la squadra credeva in me. In un minuto ho rivissuto tutto quello che avevo passato in quei sei mesi, ero una tigre.

Raffaella Manieri

E un minuto dopo?

Una soddisfazione immensa: per me era una partita da dentro/fuori. Sarebbe stata una sconfitta per me e per tutto il movimento calcistico italiano se avessi fallito, invece sono stata la migliore in campo. In Italia ero una delle più forti, in Germania non mi conosceva nessuno. Ho capito di avercela fatta, è stata una gioia indescrivibile e ho dimostrato che anche le calciatrici italiane potevano dire la loro. Ricordo che come premio ci hanno dato 4 giorni liberi e sono tornata a casa per abbracciare i miei.

Poi sei tornata in Italia, prima la Brescia e poi al Milan… Come le vedi le tue ex compagne? Stanno battagliando con la Juve per lo scudetto…

Il Milan si sta evolvendo, rispetto a come eravamo partite ora non manca tanto. Ci vuole ancora qualcosina, dobbiamo essere piu brave a fare gruppo. Negli ultimi anni sono cambiate tante giocatrici ed è difficile cementare il gruppo. La Juve ad esempio è partita con un blocco di giocatrici che erano a Brescia che poi ha ampliato con altre ragazze di talento, ed ora è praticamente il blocco nazionale. Il Milan deve avere un po’ più di pazienza e poi diventerà grande.

E la Nazionale? Ci siamo appena qualificati per gli Europei…

Si è un grande risultato che non va dato per scontato. Io c’ero quando facevamo fatica e non riuscivamo a qualificarci per Europei e Mondiali, soffrivo tantissimo per questo. Ora le cose sono cambiate e il movimento sta crescendo, così come le calciatrici. In Nazionale ci sono tantissime bravissime giocatrici che stanno diventando anche personaggi importanti e possono essere da esempio e da stimolo per tante bambine che sognano di arrivare dove ora sono loro. E poi chissà… Ci sono squadre fortissime agli Europei, come ce n’erano agli ultimi Mondiali ma l’Italia ha fatto una gran figura. Non bisogna mai partire battuti, spesso le squadre sulla carta meno forti rispetto ad  altre si compattano e trovano quell’armonia e quella unità che permette di fare grandi cose. Ricordo, ad esempio, il Giappone nel 2011. Partendo da outsider alla fine ha battuto la Germania in finale e ha vinto il titolo iridato.

Raffaellla Manieri

Ora che fai?

Sto recuperando da un’operazione al ginocchio. Sto facendo un corso da direttore sportivo a Coverciano e continuo a gestire la mia academy. Sto cercando di continuare a formarmi per dare un valore in più al percorso che ho fatto da calciatrice, per aiutare il calcio femminile a sbarcare verso il professionismo!