Alla scoperta di ‘Tiger’ (Woods)

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‘Tiger’ non è ‘The Last Dance, ma vale comunque la pena vederlo. Se la domanda è “Tiger”, documentario in due puntate che offre uno spaccato sull’ascesa, la caduta, e l’epico ritorno dell’icona globale del golf, Tiger Woods, ha la stessa potenza narrativa di The Last Dance, la risposta è no. Ma…

di Valentina Buzzi

 

Alla scoperta di Tiger

La miniserie  prodotta dalla HBO (andata in onda negli Stati Uniti il 10 gennaio) prova a dipingere un’immagine intima del prodigio dei green, la cui dedizione e ossessione per lo sport non solo lo ha portato ad assaporare un livello di fama e successo impensabili per un golfista, ma lo ha anche introdotto lungo una strada oscura e tortuosa, di cui è emblema lo scandalo sessuale che lo ha visto coinvolto nel 2009  e che ha finito per collezionare sul New York Post un numero di copertine superiore rispetto a quelle dedicate alla tragedia delle Torri Gemelle.

Libro Tiger Woods di Jeff Benedict e Armen Keteyian

“Tiger Woods” di Jeff Benedict e Armen Keteyian edito nel 2018

I migliori documentari raccontano una storia, o un lato di una storia, che non è stata raccontata. “Tiger” fornisce una ricostruzione precisa delle vicende del protagonista (che non ha collaborato alla realizzazione del documentario, così come non ha contribuito a scrivere una sola riga di “Tiger Woods”, libro del 2018 di di Jeff Benedict e Armen Keteyian a cui si ispira la miniserie), ma offre pochi spunti nuovi o rivelatori per chi ha già seguito attraverso i media vita e carriera del fenomeno americano.

Per la buona riuscita di un docu-film la partecipazione diretta del soggetto principale è tutt’altro che imperativa; anzi, molti documentari sono stati addirittura compromessi cedendo il taglio finale al suo protagonista. Tuttavia, l’assenza di Woods e dei suoi rivali, salvo l’occasionale cameo di Rocco Mediate (contro cui vinse lo Us Open del 2008 disputando le 18 buche di playoff praticamente su una gamba sola), è evidente.

E’ presente invece una manciata di giornalisti che hanno raccontato le prodezze di Woods in campo, ma “Tiger”, specialmente l’episodio 2, fa molto affidamento su coloro che erano ai margini della vita di Woods o non ci sono più. Si va dal suo ex caddie e amico intimo Steve Williams, a Dina Parr (primo vero amore di Tiger) passando per Rachel Uchitel (la donna al centro dello scandalo sessuale che ha cambiato per sempre il suo mondo), fino a Pete McDaniel, amico e biografo di suo padre Earl Woods.

Guarda il trailer ufficiale di Tiger:

 

Questione di famiglia

E forse proprio il racconto del modo in cui Earl ha scientemente stabilito di addestrare il figlio sin dalla tenere età a eccellere nello sport prescelto rappresenta la parte più interessante. Ex militare che ha preso parte alla guerra del Vietnam, Earl ha trasformato il suo bambino in un’assoluta novità per i media – mostrando le sue abilità nei talk show – e lo ha ammaestrato a diventare un’instancabile macchina da tiro, stimolando l’attenzione globale per il golf e catturando l’immaginazione di chi non aveva mai visto un torneo prima di allora.

Nel documentario, il giornalista Charles Pierce descrive Earl come “l’evangelista originale” del culto di Tiger, uno che ha previsto il futuro del suo giovane figlio in termini quasi messianici. Woods è diventato “un fenomeno culturale oltre che sportivo”, dice Gary Smith di Sports Illustrated, prima di essere essenzialmente divorato dalle “fauci della celebrità e della fama”. Non è un caso che la prima parte della miniserie si concluda con l’introduzione di Rachel Uchitel, una delle numerose amanti di Tiger che vennero allo scoperto dopo il famoso scandalo sessuale del 2009. E’ notte quando l’ex moglie di Woods Elin Nordegren si rende conto delle proporzioni della “seconda vita” del campione americano, lo percuote, lo insegue con una mazza da golf in mano, gli fa perdere il controllo dell’auto e lo catapulta nell’abisso.

 

Dalle stelle alle stalle e ritorno

Woods si infila in un tunnel lungo più di 10 anni, un tunnel fatto di accuse, processi, infortuni, operazioni alla schiena (tra cui due fusioni spinali), patenti ritirate per guida in stato di alterazione (mix di alcool e psicofarmaci), depressione. Solo il suo straordinario talento gli consente di scrivere uno dei più leggendari ritorni nella storia dello sport, con la vittoria all’Augusta Masters 2019. In pratica, si parla di una manciata di mesi fa.

 

Ed è proprio il tempo il più grande ostacolo che la miniserie “Tiger” deve affrontare. La nostalgia è spesso usata come arma nei documentari, ma gli oggetti di quel sentimentalismo richiedono distanza per acquisire la loro piena patina. Questo aspetto è indubbiamente problematico per “Tiger”, perchè la materia narrata è in parte ancora fresca. Anche se di recente ha compiuto 45 anni, Woods rimane il fulcro attorno a cui ruota il golf, la sua carriera è viva e potrebbe riservare altri colpi di scena. Così come è appena superficialmente accennata la questione razziale, che pure ha avuto un certo impatto nella sua esistenza: dagli episodi di razzismo subiti in giovane età (i vicini gettavano nel giardino di casa Woods pietre, limoni e oggetti vari in segno di sfregio) al dibattito che lo stesso Tiger ha innescato quando ha descritto la sua discendenza mista come “cablinasiana”, sollevando dubbi sul fatto che avesse minimizzato la sua eredità nera.

Ma nonostante alcune evidenti pecche del documentario girato dal regista Matthew Heineman (“Cartel Land”, “A Private War”) e dal candidato all’Emmy Matthew Hamachek (“Amanda Knox”) , “Tiger” non manca di divertire. Soprattutto quando Dina Parr, la fidanzata del liceo, mostra alcuni filmati amatoriali, girati in casa, di un Woods adolescente, filmati che mostrano un lato del campione raramente visto. E comunque, di là dei singoli episodi, è lo stesso Tiger a rappresentare un argomento irresistibilmente magnetico. Chi è estraneo al mondo del golf, chi conosce Woods solo di fama e non lo ha seguito negli ultimi 25 anni dentro e fuori dal campo, ha a disposizione un discreto prodotto per farsi almeno un’idea su uno dei più grandi sportivi di sempre,  l’uomo che ha cambiato la storia del golf a cavallo tra Ventesimo e Ventunesimo secolo.